Convegno della C.I.I.M.

Viareggio (24-25-26 ottobre.l974)

Interventi di Bruno de Finetti (Roma)

I miei interventi furono parecchi, inseriti come frammenti nelle discussioni sulle diverse relazioni, ma, a posteriori, risultano piuttosto frammenti di un unico discorso, ripreso per ampliarlo e chiarirlo a seguito di stimoli vari: idee concordanti o discordan­ti di altri intervenuti, inesatte interpretazioni di tesi prece­dentemente sostenute, richieste di esemplificazioni, ecc.. Mi sembrò pertanto necessario, o quanto meno opportuno, proporre di fondere in un unico testo i diversi interventi, ricostruiti e ricuciti un po’ liberamente (e il Presidente fu d'accordo).

1.- Concreto e astratto: contrapposizione o fusione?

Nel convegno è riecheggiata più volte l'antica (e vorrei dire antiquata) contrapposizione tra valore "culturale" di una matematica "pura” nel senso di "astratta", e valore puramente "strumentale", "utilitario", di una matematica "applicata" a problemi concernenti cose e nozioni concrete, pratiche,... o perfino "utili"! E tale contrapposizione si manifesta fin dai primi passi di ogni insegnamento, nel diverso modo di concepire la funzione e la collocazione di esempi concreti nell'introduzione e nella spiegazione di una qualunque teoria matematica.

Grosso modo, il dilemma consiste nella scelta tra:

a) introdurre come "regole" arbitrarie, chiamate "assiomi", delle convenzioni per operare su simboli immuni da ogni significato, e poi fare esempi e applicazioni come se i fatti obbedissero per obbligo o per casuale coincidenza agli assiomi sbocciati dal vuoto; oppure

 

b) mostrare, su numerosi e svariati esempi pratici (i più semplici e significativi tra quelli adeguati all'età e preparazione dei discenti), come si presentino spontaneamente svariate nozioni concrete, goden­ti di proprietà analoghe, traducibili, con qualche po' di idealizzazione, in nozioni astratte; così l'astrazione appare non il rifiuto del concreto, bensì la quintessenza e il perfezionamento del concreto, ossia ciò che ne coglie e valorizza gli aspetti più essenziali.

Adottando, come mi appare ragionevole, questo secondo punto di vista, le esemplificazioni pratiche più semplici (ridotte magari a cenni) devono precedere ogni teorizzazione per creare anzitutto una motivazione, atta a predisporre all'accettazione di astrazioni che appaiono giu­stificate, ed evitare così la reazione di rigetto che la via opposta spesso produce, non del tutto ingiustificatamente. E ritengo sia questa la causa che impedisce ai più, per tutta la vita, di "capire" e apprezzare la matematica.

Oltre che al fine, già detto, di motivazione, le esemplificazioni preliminari e le considerazioni che legano varie interpretazioni pratiche a identici o simili sistemi di assiomi, abituando a scoprire le analogie di natura pratica tra essi, mostrano come il significato degli assiomi non è "astratto" se non nel senso di "multiconcreto": esprime e idealizza proprietà riscontrabili in svariati casi e che è ragionevole prevedere troveranno analoga applicazione in molte altre applicazioni più o meno analoghe.

Ciò aiuta, o dovrebbe aiutare (ma non ci si cura abbastanza di questa esigenza pur essenziale!) a formarsi modelli mentali - per es. di natura geometrica, o meccanica, ecc. (e sarebbe bene insegnare a distin­guere, più o meno consciamente e chiaramente, ad es. tra modelli geometrici puramente topologici, o affini, o metrici, ecc.) - modelli fra i quali potremo spesso, a un grado più avanzato di approfondimento del problema, riconoscerne uno che risponde pienamente allo scopo di tradurre proprietà in esso interpretabili le proprietà reali dell'oggetto allo studio.

Gli esempi che devono venire dopo (dopo costruita la struttura.matematica - astratta, assiomatizzata - della teoria o del modello) potranno avere, in genere, prevalentemente, lo scopo opposto: quello di dare un'idea del tipo di questioni pratiche di un dato campo di studi (dalla geometria pratica alla fisica, dalla tecnica all'economia, dalla biologia all'astronomia, ecc.) che la struttura matematica consente di affrontare e risolvere, con ovvia utilità anche pratica.

2.- Dimostrare. ma anche congetturare.

Quanto detto, sia pur succintamente, contro la contrapposizione fra concreto e astratto, conduce in modo naturale, e analogamente, a rivalutare gli aspetti più attivi, più creativi (ma anche, e proprio per ciò, più avventurosi, fantasiosi, soggettivi) del nostro modo di pensare. Il rigido e impeccabile ragionamento deduttivo non può (nè dovrebbe; altrimenti esorbiterebbe dal campo su cui si estende il suo diritto di sovranità) condurre a nessuna conclusione "nuova", cioè non già implicitamente contenuta nelle premesse.

Il suo impiego, tuttavia, risulterà talora "costruttivo", nel senso che condurrà a dimostrare che, in una data teoria, da certe ipotesi discendono delle conclusioni che non si sapeva in precedenza vi fossero implicitamente incluse (ma lo erano). A questo scopo si può arrivare per caso, deducendo dalle premesse tutte le combinazioni di conclusioni e combinazioni di combinazioni (ma occorrerebbe pur sempre una certa penetrazione per riconoscere, tra innumerevoli conclusioni irrilevanti, quelle che costituiscono una "scoperta" (e per dire se appare più o meno importante). E in genere, infatti, il processo è opposto: si parte da delle "congetture", ossia da affermazioni che a qualcuno (o a molti) sembra debbano risultare vere come conseguenza delle premesse accettate. Purtroppo, un falso pudore vieta in genere di menzionare la parte del processo della scoperta che si svolge più o meno nella sfera dell'inconscio, o del subconscio, per esibire soltanto la dimostrazione fossilizzata nella sua forma scheletrica di logica freddamente deduttiva e formalistica. .

Occorre non solo riconoscere l'insostituibile funzione del ragionamento inconscio che permette di individuare congetture e di immaginare tentativi di sviluppi logici atti a far raggiungere la conclusione. Ciò è stato vigorosamente illustrato e raccomandato da Polya, dicendo che si deve non solo insegnare a dimostrare, ma anche allenara a congetturare ("Let us teach proving, but let us also teach guessing!"). Tra l'altro, questa è la prima occasione in cui si può rilevare l'importanza di sviluppare il senso della probabilità: la probabilità, o attendibilità, che attribuiamo all'esser vera di una congettura. E si tratta, naturalmente, di probabilità in senso soggettivo; ciò che (a mio avviso; vi ritornerò più avanti) non costituisce un fatto anomalo, dato che non appare giustificata in nessun caso la pretesa di dare al­la nozione di "probabilità" un significato oggettivo, indipendente dalla valutazione di un dato individuo, basata su quanto egli sa e non sa, sul modo in cui giudica, immagina, prevede, e in base al quale pensa di regolarsi nelle decisioni che comportino rischi dipendenti dal risultato degli eventi in oggetto.

3.- Il "rigore" : come, quando, perche'.

Il rigore è indubbiamente necessario, ma la mania del rigore è spesso controproducente. Una dimostrazione ineccepibilmente logica, valida sotto condizioni estremamente generali, è in genere complicata e priva di prospettiva, nascondendo il concetto intuitivo essenziale nella foresta di minuzie occorrenti solo per includere o casi marginali o estensioni smisurate. E' certo cosa migliore e più saggia (come diceva Enriques) fare acquisire una visione intuitivamente chiara e insieme logicamente rigorosa dei casi corrispondenti alle condizioni a ciò più idonee. Basterà poi informare, se del caso, e più o meno diffusamente, su cosa continua o non continua a valere sotto condizioni diverse (magari anche indicando - en passant - quella dimostrazione generale che si ritiene controproducente infliggere come punto di partenza).

Polya afferma ad esempio, per sua esperienza diretta (ripetuta nei molti paesi d'Europa e d'America ove ha insegnato) che è contropradu­cente insegnare agli ingegneri l'analisi con gli ε e θ (vedasi citazione in Periodico di Matematiche, 1974, n.1-2, p.116); Enriques ri­leva come certe precisazioni (benchè esatte) oscurino la comprensione di un enunciato (cfr.n.stesso P.d.M., a p.115 il "pezzullo" Difetti della Perfezione), e come certe dimostrazioni lunghe e complicate non aiutino a capire il perchè della validità del risultato ma obblighino sol­tanto ad accettarlo "obtorto collo".

Gli esempi al riguardo si potrebbero moltiplicare. Non per dimostrare che si deve o può trascurare il rigore, ma per far riflettere che esso non va considerato "in vitro", bensì in funzione della formazione nei discenti di una visione corretta, ma anche chiara e intuitiva, delle teorie studiate in astratto e delle loro pratiche applicazioni concrete.

In particolare, per ritornare sulle definizioni e dimostrazioni mediante ε e θ, occorrerebbe sempre curare di renderle intuitive mediante esempi e controesempi e con espressive illustrazioni mediante figure (ben fatte!). Altrimenti le "dimostrazioni" si riducono a filastrocche verbali e a sequenze di passaggetti fatti perdendo di vista il filo conduttore (come di chi cammini badando ad ogni passo dove mettere il piede, senza alzare lo sguardo per vedere se, proseguendo, arriva a una meta, e quale).

4.- Probabilita' e statistica.

La richiesta più sentita e diffusa, riguardo a miglioramenti nel tipo di preparazione, è, secondo l'opinione espressa in diverse relazioni e interventi, quella di dare un maggiore sviluppo, in tali corsi, ad argomenti di probabilità e statistica. Naturalmente, sottoscrivo in pieno tale richiesta, raccomandando però che la trattazione venga concepita nel senso più aderente alle effettive esigenze di una visione globale e concreta dei problemi. Occorre abituare a riflettere caso per caso, non basandosi (come purtroppo spesso si usa) su poveri schemi prefabbricati e stereotipati (metodi "ad hoc", Adhockeries come propose di cbiamarli I. J. Good) o, semplicisticamente, su rozzi "indici", "coefticienti", ecc.

Occorre allenare a valutare coscienziosamente le probabilità (sampre soggettive!), a impostare i problemi di scelta tenendo ben presenti gli aspetti economici (in senso lato) delle decisioni. Come esempio, si pen­si all'impostazione corretta della "teoria delle decisioni" (basata sulla massimizzazione dell'utilità sperata) e all'importanza e chiarezza che in essa assume la nozione di "valore di un'informazione" con riferimento a una decisione (in senso economico: ben diverso da quello che si esprime come "quantità d'informazione").

La matematica non può essere, per gli studenti di altre scienze, una collezione di ricette da accettare "a scatola chiusa", bensl una componente della loro attrezzatura mentale, necessaria per proseguire in forma più approfondita, ove occorre, le stesse riflessioni che nel loro campo portano avanti senza di essa fin quando bastano immagini men­tali più semplici e intuitive.

ln seguito a spunti di discussione sulla nozione di probabilità ho dato chiarimenti su perchè ogni probabilità debba (a mio avviso) con­siderarsi soggettiva. In breve (non è qui il luogo per dilungarsi): ogni definizione pretesamente oggettiva presuppone un giudizio soggettivo.

La cosiddetta definizione basata su partizioni in "casi ugualmente probabili" richiede sia già acquisito, in senso soggettivo, il concetto di "uguale probabilità". E quella basata sulle frequenze richiede il medesi­mo circolo vizioso ed in più un'intuizione (necessariamente grossolana) di un nesso tra osservazione di frequenze e valutazioni di probabilità, nesso di cui soltanto un'adeguata elaborazione della teoria delle probabilità (soggettive) permette di stabilire il significato in base ad effettiva analisi delle circostanze in gioco.

5.- Mostruosita' giuridicolo-burofreniche.

In molti interventi è stata deplorata la situazione degli insegnamenti in questione (Matematiche per altri Corsi di Laurea, Fac.Scienze). Condivido in pieno le critiche, e sono lieto che alcuni singoli lodevoli esempi mostrino che, ove vi sia della buona volontà, si può perfino riuscire a impostare tali insegnamenti in modo appropriato e intelligente. (Menzionerei come esempio - forse anche per il calore con cui l'insegnante, la prof. Metelli, ne ha illustrato gli intendimenti - il cor­so di Padova).

Contro il falso dilemma (per di più, a sfondo penosamente corporativo) se la Matematica ai Chimici (e così per altri) vada insegnata da un Matematico o da un Chimico, dissi che dev'essere insegnata o da un Matematico innamorato della Chimica o da un Chimico innamorato della Matematica. La Matematica non va insegnata come tale, nè come mero stru­mento per particolari applicazioni alla Chimica; occorre invece che la scelta e il dosaggio degli argomenti, i riferimenti e gli esempi, tendano ad una fusione delle nozioni astratte prevalentemente con le inter­pretazioni familiari e necessarie per la Chimica e campi affini.

I docenti dovrebbero avere e sviluppare una mentalità fecondamente interdisciplinare, collaborare allo studio dei problemi matematici nella disciplina del corso di laurea ove insegnano, possibilmente anche nel campo della ricerca (e magari - marginalmente - anche in quello professionale). E' chiaro però che ogni scelta appropriata e. meditata dei docenti è resa impossibile e inconcepibile da tutta l'impalcatura di nor­me che affliggono, in !"talia, l'Università (come tutta la Scuola e più in generale tutta la Pubblica Amministrazione), norme che possono ben dirsi burofreniche (in Francia si è usato un termine anche più crudo: burosadiche) e giuridicole (sintesi dei due termini, per 3/4 coincidenti, giuridico e ridicolo). Concordo con tutte le critiche fatte su questo e altri punti analoghi, e mi auguro che si possa provocare un moto di ripulsa, una "reazione di rigetto", che obblighi le Autorità "competenti" (?) a provvedere. Sarebbe urgente, urgentissimo!