Odifreddi: Poco, devo dire la verità.
Perché è soltanto una parte della matematica quella che ha a
che fare col calcolo, dall'abaco, certo, fino al calcolatore,
uno strumento molto importante. Però la matematica è più di
questo. C'è tutto un aspetto della matematica che ha a che
fare anche col mondo esterno. Non soltanto per il ruolo di
descrizione della natura, per l'uso cioè della matematica
nella fisica o nella chimica. Così si continua a rimanere
nella tradizione crociana e gentiliana, mentre la matematica
si può usare anche a fini differenti. Per esempio Platone
sosteneva che per imparare l'etica c'era bisogno della
matematica, perché la matematica insegna appunto concetti come
maggiore, minore, più grande, più piccolo, mezzo, giusto,
proporzioni, tutti canoni che poi si usano nell'etica. E oggi
nella "teoria dei giochi".
Ora, forse, nelle scuole
sarebbe utile incominciare anche a insegnare questa matematica
un po' moderna. Tipo la 'teoria dei giochi' e l'utilizzo che
se ne fa in politica, oppure la matematica della prospettiva,
per imparare a guardare i quadri di tutta una tradizione
artistica occidentale che passa attraverso una struttura
matematica, oppure cose tipo quelle usate nella letteratura
dell'Oulipo da persone come Calvino ma anche da Perec. C'è
tutta una matematica sommersa che non si pensa nemmeno che
possa essere usata a fini umanistici. Quindi credo che
concentrarci sull'abaco, o sul computer che è la sua versione
moderna, sia un po' riduttivo. C'è il rischio che si finisca
per credere che la tecnologia informatica sia il punto
d'arrivo dello sviluppo scientifico.
Giorello: Io direi di più, che questa idolatria
dello sviluppo tecnologico - "dall'abaco al computer" è il suo
slogan, uno slogan molto alla moda - non è altro che, appunto,
il rovescio della medaglia crociana. Comunque la matematica
non va studiata perché è tecnica o va studiata perché è
tecnica, ma siamo sempre lì. Si dimentica tutto l'aspetto
qualitativo, non solo quantitativo, della matematica, che è
così forte nella geometria contemporanea, nella topologia,
nello studio dei sistemi dinamici: sono tutti settori che
toccano grossi problemi di natura fisica, dal problema della
stabilità del sistema solare, tanto per citare un esempio
della filosofia naturale, al problema della stabilità di un
mercato, e qui torniamo al contesto dell'economia.
Ora,
perché non tener conto anche di questa dimensione qualitativa
e dunque essenzialmente conoscitiva della matematica? E' una
dimensione che lega la matematica a settori dell'umanesimo,
dell'arte ma anche delle scienze sociali, anche alla
filosofia. Voglio dire, perché non tornare a gustare il fatto
che la matematica ci rende intelligibili situazioni che prima
ci sembravano misteriose? Questa bellissima definizione della
matematica è stata data da René Thom, uno studioso insignito
della Fields Medal.
Odifreddi: Che tu hai intervistato a lungo, tra
l'altro.
Giorello: L'ho intervistato a lungo per le sue
teorie sulle catastrofi. E direi che ha soprattutto meritato
il premio per i suoi grandi lavori in topologia
differenziale.
Ecco, non dimenticare che la matematica ci
rende intelligibili le cose. Come diceva Galileo, appunto: "Ho
un linguaggio di figure e numeri che mi permette di
localizzare i concetti". Ma se noi l'attività generativa del
calcolo la stacchiamo da questa opera di comprensione, ne
facciamo una pura tecnica: avremo dei tecnici bravissimi, ma
non dei bravissimi matematici. Aveva ragione Clifford
Truesdell, lo storico della meccanica, quando diceva che il
calcolatore potrebbe essere anche una rovina dell'intelligenza
e non un aiuto per l'intelligenza.
Odifreddi: Una volta ho coniato uno slogan che era
ovviamente mutuato da Sartre. Sartre aveva scritto quel
libretto negli anni '40-'50 in cui parlava
dell'esistenzialismo e che diceva: "L'esistenzialismo è un
umanesimo". Ecco, non si può dire che l'esistenzialismo sia
una matematica, però si può dire che "la matematica è un
umanesimo". È un modo di togliere di mezzo l'aspetto
tecnicista della matematica, in quanto supporto della tecnica
e delle scienze, e farne un umanesimo. Non magari
"l'umanesimo" con l'articolo determinativo, ma almeno uno.
Giorello: Visto che abbiamo citato, nel bene nel
male, dei grandi maestri della cultura italiana, citiamone
ancora uno, Bruno De Finetti, il creatore della teoria delle
probabilità moderna, o meglio dell'interpretazione cosiddetta
soggettivistica delle probabilità. De Finetti ci ha insegnato
a stimare le nostre convinzioni soggettive, il nostro grado di
fiducia nell'accadere di un evento.
Quanto denaro
scommetteremmo su un evento incerto, non so, che vinca la
squadra del cuore al derby piuttosto che si realizzi una tale
misura politica oppure che cresca un certo mercato. Ecco, De
Finetti ci ha fatto vedere come convinzioni umane fallibili,
veramente umane, troppo umane, possono poi però diventare
lentamente degli algoritmi che funzionano. E si può quindi
arrivare a un consenso pur partendo da stime di probabilità
molto diverse. Così lavora la ragione degli uomini: appunto
lentamente, costruendo dai propri errori, correggendo le
proprie stime iniziali. Questa è, di nuovo, una grande lezione
di umanesimo.
Odifreddi: E, complementare, c'è l'aspetto educativo
della matematica, proprio in argomenti come questi. Per
esempio la probabilità, a coloro che ne sappiano anche
soltanto qualche rudimento, già insegna subito che non sarebbe
bene giocare al Superenalotto o a tutti questi giochi
d'azzardo, e nemmeno alla Borsa, tutto sommato. Mentre questi
sono poi i mezzi con cui il "potere", tra virgolette, inteso
in senso astratto, alla fine toglie i soldi a coloro che
queste cose non le sanno. Quindi la matematica qui diventa
effettivamente educativa: quando se ne sa un minimo si sta più
attenti e non si vanno a buttare via i soldi.
Giorello: Georg Cantor il creatore della teoria
degli insiemi, grande studioso dell' infinito matematico della
seconda metà dell'Ottocento, diceva che senza la matematica
c'era meno la libertà. Che è una grande esperienza di libertà
intellettuale. D'altra parte i tiranni non amano la
matematica.
Odifreddi: Tu non credi che Dio sia un
matematico?
Giorello: Non lo so.
Odifreddi: Non so se Dio sia un tiranno…
Giorello: Certo, è un problema interessante. Non so
se Dio è un tiranno…
Odifreddi: La metafora di Dio come matematico che
crea l'universo, quella famosa immagine di Blake…
Giorello: Mi lascia un po' freddo, personalmente. È
un'immagine molto bella, molto ricca di significato, però non
corrisponde all'idea di una matematica che emerge, invece,
lentamente dalla lotta per la vita e che è forse, all'inizio,
un prodotto collaterale dello sviluppo della specie umana.
Odifreddi: Preferisci il contrario: i matematici
sono dèi?
Giorello: Non vorrei dire che i matematici sono dèi.
I matematici sono degli strani animali, degli animali lunari,
questo lo diceva Aristotele ai filosofi. C'è una bella
vignetta del grande matematico Sir Roger Penrose, nel suo
libro "Il grande e il piccolo nella mente umana", in cui si
vede un primitivo, un nostro lontano progenitore che invece di
preparare delle armi per difendersi dalle belve comincia a
tracciare degli strani segni sulla sabbia. Nascosto nella
giungla, con l'aria di quello che aspetta il pranzo c'è un bel
tigrotto dai denti a sciabola. Però io direi una cosa: le
tigri dai denti a sciabola si sono estinte, i matematici
ancora no.