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Matematica, che paura o che passione?

Domanda 3



Educational: Da Costanza Rovelli. Dai giornali leggiamo che la nuova scuola di base, dopo la riforma, darà un ruolo da protagonista a questa materia. Diventerà una disciplina da usare "per interpretare la realtà". E che grande importanza verrà data all'uso degli strumenti, abaco e righello, ma anche computer e calcolatrice. Se sarà così, condividete questi principi?
Odifreddi: Poco, devo dire la verità. Perché è soltanto una parte della matematica quella che ha a che fare col calcolo, dall'abaco, certo, fino al calcolatore, uno strumento molto importante. Però la matematica è più di questo. C'è tutto un aspetto della matematica che ha a che fare anche col mondo esterno. Non soltanto per il ruolo di descrizione della natura, per l'uso cioè della matematica nella fisica o nella chimica. Così si continua a rimanere nella tradizione crociana e gentiliana, mentre la matematica si può usare anche a fini differenti. Per esempio Platone sosteneva che per imparare l'etica c'era bisogno della matematica, perché la matematica insegna appunto concetti come maggiore, minore, più grande, più piccolo, mezzo, giusto, proporzioni, tutti canoni che poi si usano nell'etica. E oggi nella "teoria dei giochi".
Ora, forse, nelle scuole sarebbe utile incominciare anche a insegnare questa matematica un po' moderna. Tipo la 'teoria dei giochi' e l'utilizzo che se ne fa in politica, oppure la matematica della prospettiva, per imparare a guardare i quadri di tutta una tradizione artistica occidentale che passa attraverso una struttura matematica, oppure cose tipo quelle usate nella letteratura dell'Oulipo da persone come Calvino ma anche da Perec. C'è tutta una matematica sommersa che non si pensa nemmeno che possa essere usata a fini umanistici. Quindi credo che concentrarci sull'abaco, o sul computer che è la sua versione moderna, sia un po' riduttivo. C'è il rischio che si finisca per credere che la tecnologia informatica sia il punto d'arrivo dello sviluppo scientifico.

Giorello: Io direi di più, che questa idolatria dello sviluppo tecnologico - "dall'abaco al computer" è il suo slogan, uno slogan molto alla moda - non è altro che, appunto, il rovescio della medaglia crociana. Comunque la matematica non va studiata perché è tecnica o va studiata perché è tecnica, ma siamo sempre lì. Si dimentica tutto l'aspetto qualitativo, non solo quantitativo, della matematica, che è così forte nella geometria contemporanea, nella topologia, nello studio dei sistemi dinamici: sono tutti settori che toccano grossi problemi di natura fisica, dal problema della stabilità del sistema solare, tanto per citare un esempio della filosofia naturale, al problema della stabilità di un mercato, e qui torniamo al contesto dell'economia.
Ora, perché non tener conto anche di questa dimensione qualitativa e dunque essenzialmente conoscitiva della matematica? E' una dimensione che lega la matematica a settori dell'umanesimo, dell'arte ma anche delle scienze sociali, anche alla filosofia. Voglio dire, perché non tornare a gustare il fatto che la matematica ci rende intelligibili situazioni che prima ci sembravano misteriose? Questa bellissima definizione della matematica è stata data da René Thom, uno studioso insignito della Fields Medal.

Odifreddi: Che tu hai intervistato a lungo, tra l'altro.

Giorello: L'ho intervistato a lungo per le sue teorie sulle catastrofi. E direi che ha soprattutto meritato il premio per i suoi grandi lavori in topologia differenziale.
Ecco, non dimenticare che la matematica ci rende intelligibili le cose. Come diceva Galileo, appunto: "Ho un linguaggio di figure e numeri che mi permette di localizzare i concetti". Ma se noi l'attività generativa del calcolo la stacchiamo da questa opera di comprensione, ne facciamo una pura tecnica: avremo dei tecnici bravissimi, ma non dei bravissimi matematici. Aveva ragione Clifford Truesdell, lo storico della meccanica, quando diceva che il calcolatore potrebbe essere anche una rovina dell'intelligenza e non un aiuto per l'intelligenza.

Odifreddi: Una volta ho coniato uno slogan che era ovviamente mutuato da Sartre. Sartre aveva scritto quel libretto negli anni '40-'50 in cui parlava dell'esistenzialismo e che diceva: "L'esistenzialismo è un umanesimo". Ecco, non si può dire che l'esistenzialismo sia una matematica, però si può dire che "la matematica è un umanesimo". È un modo di togliere di mezzo l'aspetto tecnicista della matematica, in quanto supporto della tecnica e delle scienze, e farne un umanesimo. Non magari "l'umanesimo" con l'articolo determinativo, ma almeno uno.

Giorello: Visto che abbiamo citato, nel bene nel male, dei grandi maestri della cultura italiana, citiamone ancora uno, Bruno De Finetti, il creatore della teoria delle probabilità moderna, o meglio dell'interpretazione cosiddetta soggettivistica delle probabilità. De Finetti ci ha insegnato a stimare le nostre convinzioni soggettive, il nostro grado di fiducia nell'accadere di un evento.
Quanto denaro scommetteremmo su un evento incerto, non so, che vinca la squadra del cuore al derby piuttosto che si realizzi una tale misura politica oppure che cresca un certo mercato. Ecco, De Finetti ci ha fatto vedere come convinzioni umane fallibili, veramente umane, troppo umane, possono poi però diventare lentamente degli algoritmi che funzionano. E si può quindi arrivare a un consenso pur partendo da stime di probabilità molto diverse. Così lavora la ragione degli uomini: appunto lentamente, costruendo dai propri errori, correggendo le proprie stime iniziali. Questa è, di nuovo, una grande lezione di umanesimo.

Odifreddi: E, complementare, c'è l'aspetto educativo della matematica, proprio in argomenti come questi. Per esempio la probabilità, a coloro che ne sappiano anche soltanto qualche rudimento, già insegna subito che non sarebbe bene giocare al Superenalotto o a tutti questi giochi d'azzardo, e nemmeno alla Borsa, tutto sommato. Mentre questi sono poi i mezzi con cui il "potere", tra virgolette, inteso in senso astratto, alla fine toglie i soldi a coloro che queste cose non le sanno. Quindi la matematica qui diventa effettivamente educativa: quando se ne sa un minimo si sta più attenti e non si vanno a buttare via i soldi.

Giorello: Georg Cantor il creatore della teoria degli insiemi, grande studioso dell' infinito matematico della seconda metà dell'Ottocento, diceva che senza la matematica c'era meno la libertà. Che è una grande esperienza di libertà intellettuale. D'altra parte i tiranni non amano la matematica.

Odifreddi: Tu non credi che Dio sia un matematico?

Giorello: Non lo so.

Odifreddi: Non so se Dio sia un tiranno…

Giorello: Certo, è un problema interessante. Non so se Dio è un tiranno…

Odifreddi: La metafora di Dio come matematico che crea l'universo, quella famosa immagine di Blake…

Giorello: Mi lascia un po' freddo, personalmente. È un'immagine molto bella, molto ricca di significato, però non corrisponde all'idea di una matematica che emerge, invece, lentamente dalla lotta per la vita e che è forse, all'inizio, un prodotto collaterale dello sviluppo della specie umana.

Odifreddi: Preferisci il contrario: i matematici sono dèi?

Giorello: Non vorrei dire che i matematici sono dèi. I matematici sono degli strani animali, degli animali lunari, questo lo diceva Aristotele ai filosofi. C'è una bella vignetta del grande matematico Sir Roger Penrose, nel suo libro "Il grande e il piccolo nella mente umana", in cui si vede un primitivo, un nostro lontano progenitore che invece di preparare delle armi per difendersi dalle belve comincia a tracciare degli strani segni sulla sabbia. Nascosto nella giungla, con l'aria di quello che aspetta il pranzo c'è un bel tigrotto dai denti a sciabola. Però io direi una cosa: le tigri dai denti a sciabola si sono estinte, i matematici ancora no.


 

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